martedì 28 maggio 2019

Il grave problema del debito pubblico



Il debito pubblico è fonte di preoccupazione universale. Sia i Paesi industrializzati, sia quelli in via di sviluppo non riescono a farvi fronte. Questo crea dissesto in tutta l’economia del nostro pianeta. I Paesi che sono qualificati come i grandi dell’economia mondiale non sono ancora riusciti a trovare un accordo, nonostante vi abbiano dedicato diverse riunioni, sul modo di procedere per rimediare ad una situazione tanto critica. È di certo sintomo di preoccupazione. Tuttavia, a quanto si legge sulla stampa, a parte le difficoltà oggettive imposte dalle attuali contingenze, pare che l’egoismo dei governi particolari giochi un ruolo determinante nella creazione dell’impossibilità del raggiungimento di un effettivo accordo.

È tempo ormai che i governi, gli imprenditori, coloro che fanno parte della grossa distribuzione della ricchezza, i gruppi sociali e le loro organizzazioni, tutti coloro, insomma, che esercitano un’influenza determinante nei vari livelli della società, capiscano che l’era post-moderna non consente in nessun campo dell’organizzazione societaria l’azione individuale chiusa in se stessa. Questa deve, senza dubbio, sussistere e prosperare, ma è destinata ad un clamoroso fallimento se non si riferisce alle azioni degli altri individui. Il che equivale a dire che l’individuale ed il collettivo non possono acquistare valore sociale se non sono tra loro correlati. È stato detto che gli Stati Comunisti sono caduti a causa della rigidità della loro pianificazione economica, nulla concedendo alla libera azione del mercato nonché all’iniziativa individuale. 

Bisogna convenire che queste osservazioni hanno colto nel segno. Tuttavia, se è vero che una nutrita schiera d’indagatori della realtà sociale, impegnando nelle proprie indagini un’acutezza piuttosto limitata, ha sostenuto che il capitalismo ed il libero mercato hanno vinto il raffronto con il comunismo e con la pianificazione economica, è altrettanto vero che tanto i fatti politici, quanto quelli economici e sociali, verificatesi immediatamente dopo la scomparsa dei regimi comunisti, hanno smentito ampiamente queste tesi, anche se gli indagatori in questione non se ne vogliono convincere.

Non ribadendo i concetti già espressi, potremo dire che lo Stato sociale, contrariamente a quanto pensano i neoliberisti, può essere alleggerito ma non eliminato. Non è certamente concepibile uno Stato onnipresente, sempre pronto ad elargire assistenza in modo indiscriminato, tenendo per giunta gli assistiti inoperanti, com’è avvenuto in Italia con lo strumento della cassa integrazione. Bisogna riconoscere che è stato un grosso errore pagare questi operai senza chiedere loro in cambio alcuna prestazione, pur essendoci un’infinità di lavori che essi avrebbero potuto svolgere, in quanto non occorreva una particolare competenza specifica per sbrigarli.

Eppure si capiva benissimo che questi lavori andavano fatti con urgenza, perché la loro utilità sociale era di grande rilevanza. Il fatto è che non si è voluto dare ascolto a quanti hanno chiesto d’introdurre, magari con grande oculatezza, la mobilità della manodopera, affinché non si creasse la stortura che ci fosse gente pagata senza lavorare. Tuttavia ai nostri giorni è inimmaginabile uno Stato che si limiti esclusivamente ad osservare impassibile lo svolgimento dei rapporti tra i suoi cittadini senza mai intervenire, anche quando in esso si verificassero ingiustizie.

Brano tratto dal libro “Verso quale approdo?” Di Giuseppe Piroddi


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Quarta di copertina dell'opera "Verso quale Approdo", del professor Giuseppe Piroddi

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