Il debito pubblico è fonte di preoccupazione universale. Sia
i Paesi industrializzati, sia quelli in via di sviluppo non riescono a farvi
fronte. Questo crea dissesto in tutta l’economia del nostro pianeta. I Paesi
che sono qualificati come i grandi dell’economia mondiale non sono ancora
riusciti a trovare un accordo, nonostante vi abbiano dedicato diverse riunioni,
sul modo di procedere per rimediare ad una situazione tanto critica. È di certo
sintomo di preoccupazione. Tuttavia, a quanto si legge sulla stampa, a parte le
difficoltà oggettive imposte dalle attuali contingenze, pare che l’egoismo dei
governi particolari giochi un ruolo determinante nella creazione
dell’impossibilità del raggiungimento di un effettivo accordo.
È tempo ormai che i governi, gli imprenditori, coloro che
fanno parte della grossa distribuzione della ricchezza, i gruppi sociali e le
loro organizzazioni, tutti coloro, insomma, che esercitano un’influenza
determinante nei vari livelli della società, capiscano che l’era post-moderna
non consente in nessun campo dell’organizzazione societaria l’azione
individuale chiusa in se stessa. Questa deve, senza dubbio, sussistere e
prosperare, ma è destinata ad un clamoroso fallimento se non si riferisce alle
azioni degli altri individui. Il che equivale a dire che l’individuale ed il
collettivo non possono acquistare valore sociale se non sono tra loro
correlati. È stato detto che gli Stati Comunisti sono caduti a causa della
rigidità della loro pianificazione economica, nulla concedendo alla libera
azione del mercato nonché all’iniziativa individuale.
Bisogna convenire che queste osservazioni hanno colto nel
segno. Tuttavia, se è vero che una nutrita schiera d’indagatori della realtà
sociale, impegnando nelle proprie indagini un’acutezza piuttosto limitata, ha
sostenuto che il capitalismo ed il libero mercato hanno vinto il raffronto con
il comunismo e con la pianificazione economica, è altrettanto vero che tanto i
fatti politici, quanto quelli economici e sociali, verificatesi immediatamente
dopo la scomparsa dei regimi comunisti, hanno smentito ampiamente queste tesi,
anche se gli indagatori in questione non se ne vogliono convincere.
Non ribadendo i concetti già espressi, potremo dire che lo
Stato sociale, contrariamente a quanto pensano i neoliberisti, può essere
alleggerito ma non eliminato. Non è certamente concepibile uno Stato
onnipresente, sempre pronto ad elargire assistenza in modo indiscriminato,
tenendo per giunta gli assistiti inoperanti, com’è avvenuto in Italia con lo strumento
della cassa integrazione. Bisogna riconoscere che è stato un grosso errore
pagare questi operai senza chiedere loro in cambio alcuna prestazione, pur essendoci
un’infinità di lavori che essi avrebbero potuto svolgere, in quanto non
occorreva una particolare competenza specifica per sbrigarli.
Eppure si capiva benissimo che questi lavori andavano fatti
con urgenza, perché la loro utilità sociale era di grande rilevanza. Il fatto è
che non si è voluto dare ascolto a quanti hanno chiesto d’introdurre, magari
con grande oculatezza, la mobilità della manodopera, affinché non si creasse la
stortura che ci fosse gente pagata senza lavorare. Tuttavia ai nostri giorni è
inimmaginabile uno Stato che si limiti esclusivamente ad osservare impassibile
lo svolgimento dei rapporti tra i suoi cittadini senza mai intervenire, anche
quando in esso si verificassero ingiustizie.
Brano tratto dal libro “Verso quale approdo?” Di Giuseppe
Piroddi
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