Queste considerazioni hanno avuto una lunga gestazione. Il
ritardo con cui vengono pubblicate è dovuto alla ritrosia di cui soffro nel
rendere noto quanto scrivo, tuttavia il ritardo della loro notorietà non ha
tolto nulla alla loro efficacia, poiché i problemi che trattano sussistono
ancora, con tutta la precarietà che li ha generati. Anteponendo questa introduzione, ci prefiggiamo, per così
dire, l’obiettivo di aggiornarle, sottolineando le problematiche sociali nuove
che riteniamo essersi stabilite nella società dei giorni nostri.
Tra l’agosto ed il dicembre del 1989, tutti i regimi
comunisti dell’Europa orientale, che costituivano il “Blocco Sovietico”, si
dissolsero l’uno dopo l’altro come neve al sole. Nel novembre cadde il celebre “Muro
di Berlino”. Nel dicembre la dittatura comunista più radicata fuori dall’Unione
sovietica, la Romania di Ceaușescu. L’Unione sovietica cessò di esistere nel
1992, avendo esercitato lungamente una funzione fondamentale nell’assetto del
mondo.
Pur non essendo stimatori del comunismo, provammo una certa
ammirazione per le strutture statuali che esso aveva introdotto nei Paesi in
cui era asceso al potere. Tutti rimasero inoltre sconcertati per la fragilità
delle basi su cui poggiavano, come mostrò la loro caduta rovinosa: quegli
stessi regimi che avevano preteso di manifestare un potere tanto forte e
sicuro, come se avessero esercitato una forma di governo radicata e stimata nei
popoli che avevano amministrato.
Con la caduta dell’Unione sovietica, che il presidente
americano Ronald Reagan aveva definito, “l’Impero del male”, nel mondo
occidentale si diffuse una gioia non sufficientemente ponderata per il fatto
che il socialismo era stato definitivamente sconfitto dal liberalismo e che, da
ora in poi, ogni contrasto politico sarebbe scomparso per sempre. Padrone del
campo era rimasta una sola potenza, quella degli Stati Uniti d’America. Si
pensava che stesse sorgendo un’epoca nuova, in cui avrebbe regnato una pace
universale.
Stanca di vivere nell’equilibrio della guerra fredda, la
gente sprovveduta s’immerse in un’illusoria utopia nella quale la concordia
avrebbe dominato incontrastata. Tuttavia la situazione non convinceva molti
osservatori e non ci sembrò giusto viverla in maniera passiva. Per questa
ragione, in tanti cominciarono a riflettere sul contesto storico-politico di
allora con tutte le forze intellettuali di cui erano capaci, per trovare una
certezza di fronte allo sbandamento generale diffuso in tutti gli strati
sociali. Alcuni subito capirono che l’armonia generale non poteva essere
assunta con il criterio di governo di alcun tipo di società, giacché il
fondamento vitale delle diverse comunità è costituito dalle loro interne
contraddizioni. Del resto, la vita si manifesta con un movimento continuo,
irregolare e contradditorio.
Non si credette, inoltre, alla vittoria definitiva del
liberalismo sul socialismo. Questi aveva subito un colpo gravissimo che lo costrinse
ad arretrare, senza però perdere la sua essenza vitale nel campo
socio-politico. In fondo, i limiti politici e sociali del socialismo erano, in
senso opposto, identici a quelli del liberalismo. Entrambi avevano costituito
le fondamentali strutture su cui si era retta la società moderna e
contemporanea, fin dal primo affermarsi della rivoluzione industriale.
La società attuale ha subito notevoli mutamenti rispetto alle
società dell’Ottocento e del Novecento. Le grandi rivoluzioni della robotica in
generale, della telematica e dell’informatica, tuttora in evoluzione, hanno
prodotto mutamenti finora impensati. Il loro costante sviluppo ne produrrà
ancora di più sbalorditivi, sicché oggi si parla già di una società
post-industriale, senza tuttavia che la fenomenologia sociale abbia subito
differenze rispetto all’impronta che la rivoluzione industriale le conferì fin
dal suo affermarsi.
Breve introduzione al libro “Verso quale approdo” di
Giuseppe Piroddi. La stessa introduzione è presente nel libro, opera dello
stesso autore.