domenica 23 giugno 2019

Quarta di copertina dell'opera "Verso quale Approdo", del professor Giuseppe Piroddi

Con le presenti considerazioni storico - filosofiche s’intende indicare il modo di andare oltre le turbative disordinate attualmente vigenti nella società del nostro tempo. Un’analisi accurata evidenzia che tanto il socialismo, quanto il liberalismo ed ancor meno il comunismo, non sono riusciti a produrre una fenomenologia sociale adeguata a far vivere gli uomini nella pace serena che meriterebbero.

Tuttavia non c’è da disperare che lo scopo potrà essere raggiunto. Se infatti si praticherà una forma di sviluppo sociale diversa da quanto è stato fatto finora, i risultati certamente non mancheranno. Occorre che la produzione della ricchezza sia orientata in senso diffusivo e non cumulativo, affinché la disuguaglianza fra i gruppi umani possa essere ridotta il più possibile. Le comunità più ricche aiuteranno quelle più povere ad emanciparsi dalla miseria che le opprime.

In tal modo l’armonia e la concordia si diffonderanno in tutti gli strati sociali, dando la possibilità ai vari popoli della Terra di praticare la solidarietà e la stima reciproca che eliminano anche le inimicizie più ostinate.

Quarta di copertina dell’opera “Verso quale approdo” del professor Piroddi Giuseppe, "Edizioni Sa babbaiola.” Tutti i diritti dell’opera sono riservati

domenica 2 giugno 2019

Introduzione



Queste considerazioni hanno avuto una lunga gestazione. Il ritardo con cui vengono pubblicate è dovuto alla ritrosia di cui soffro nel rendere noto quanto scrivo, tuttavia il ritardo della loro notorietà non ha tolto nulla alla loro efficacia, poiché i problemi che trattano sussistono ancora, con tutta la precarietà che li ha generati. Anteponendo questa introduzione, ci prefiggiamo, per così dire, l’obiettivo di aggiornarle, sottolineando le problematiche sociali nuove che riteniamo essersi stabilite nella società dei giorni nostri.

Tra l’agosto ed il dicembre del 1989, tutti i regimi comunisti dell’Europa orientale, che costituivano il “Blocco Sovietico”, si dissolsero l’uno dopo l’altro come neve al sole. Nel novembre cadde il celebre “Muro di Berlino”. Nel dicembre la dittatura comunista più radicata fuori dall’Unione sovietica, la Romania di Ceaușescu. L’Unione sovietica cessò di esistere nel 1992, avendo esercitato lungamente una funzione fondamentale nell’assetto del mondo.

Pur non essendo stimatori del comunismo, provammo una certa ammirazione per le strutture statuali che esso aveva introdotto nei Paesi in cui era asceso al potere. Tutti rimasero inoltre sconcertati per la fragilità delle basi su cui poggiavano, come mostrò la loro caduta rovinosa: quegli stessi regimi che avevano preteso di manifestare un potere tanto forte e sicuro, come se avessero esercitato una forma di governo radicata e stimata nei popoli che avevano amministrato.

Con la caduta dell’Unione sovietica, che il presidente americano Ronald Reagan aveva definito, “l’Impero del male”, nel mondo occidentale si diffuse una gioia non sufficientemente ponderata per il fatto che il socialismo era stato definitivamente sconfitto dal liberalismo e che, da ora in poi, ogni contrasto politico sarebbe scomparso per sempre. Padrone del campo era rimasta una sola potenza, quella degli Stati Uniti d’America. Si pensava che stesse sorgendo un’epoca nuova, in cui avrebbe regnato una pace universale.

Stanca di vivere nell’equilibrio della guerra fredda, la gente sprovveduta s’immerse in un’illusoria utopia nella quale la concordia avrebbe dominato incontrastata. Tuttavia la situazione non convinceva molti osservatori e non ci sembrò giusto viverla in maniera passiva. Per questa ragione, in tanti cominciarono a riflettere sul contesto storico-politico di allora con tutte le forze intellettuali di cui erano capaci, per trovare una certezza di fronte allo sbandamento generale diffuso in tutti gli strati sociali. Alcuni subito capirono che l’armonia generale non poteva essere assunta con il criterio di governo di alcun tipo di società, giacché il fondamento vitale delle diverse comunità è costituito dalle loro interne contraddizioni. Del resto, la vita si manifesta con un movimento continuo, irregolare e contradditorio.

Non si credette, inoltre, alla vittoria definitiva del liberalismo sul socialismo. Questi aveva subito un colpo gravissimo che lo costrinse ad arretrare, senza però perdere la sua essenza vitale nel campo socio-politico. In fondo, i limiti politici e sociali del socialismo erano, in senso opposto, identici a quelli del liberalismo. Entrambi avevano costituito le fondamentali strutture su cui si era retta la società moderna e contemporanea, fin dal primo affermarsi della rivoluzione industriale.

La società attuale ha subito notevoli mutamenti rispetto alle società dell’Ottocento e del Novecento. Le grandi rivoluzioni della robotica in generale, della telematica e dell’informatica, tuttora in evoluzione, hanno prodotto mutamenti finora impensati. Il loro costante sviluppo ne produrrà ancora di più sbalorditivi, sicché oggi si parla già di una società post-industriale, senza tuttavia che la fenomenologia sociale abbia subito differenze rispetto all’impronta che la rivoluzione industriale le conferì fin dal suo affermarsi.

Breve introduzione al libro “Verso quale approdo” di Giuseppe Piroddi. La stessa introduzione è presente nel libro, opera dello stesso autore.

giovedì 30 maggio 2019

La caduta dei regimi Comunisti



Nel lontano 1989 tutti i regimi comunisti dell’Europa orientale crollarono tra l’agosto ed il dicembre come castelli di carta per un minimo soffio di brezza. L’unico tra quei regimi che resisteva era l’Unione Sovietica, tuttavia agonizzante fin da quando Gorbaciov, ponendo in atto la Perestrojka, ne aveva diagnosticato ma non decretato (come qualcuno potrebbe essere indotto a pensare essendo stato Lui medesimo a causarla) la morte.

Il regime comunista sovietico si dissolverà di fatto nel 1991, sopravvivendo meno di due anni all’ultimo regime dell’Europa orientale, ovvero quello rumeno. Tutti sapevamo dei conflitti interni che vi sussistevano, del malessere che vi serpeggiava, della crisi interna che li minava, della grande voglia di cambiamento che animava le loro popolazioni, ma nessuno si aspettava un loro crollo così rapido giacché, pur intravedendosi alcune incrinature, non risultava trasparente il logorio dei puntelli che li sostenevano.

Per quanto ci riguarda, è logico affermare che la loro caduta così rapida ci provocò un sommo sconcerto, non tanto perché ne ignorassimo i grossi difetti e le possibili cause che ne avrebbero determinato la rovina, ma perché avevamo riposto in essi una specie di contrappeso ai mali che allignavano, e che tuttora allignano, nelle democrazie occidentali.

Questi regimi, infatti, erano una forza che garantivano i Paesi del Terzo mondo dall’invadenza poco scrupolosa dei loro ex colonizzatori occidentali. In realtà sapevamo benissimo che l’Unione Sovietica ed i suoi satelliti operavano nei Paesi sottosviluppati per assicurarsi un’influenza in contrapposizione ai Paesi industrializzati dell’Occidente, e che i loro intenti di sottomissione non erano diversi da quelli di questi.

Brano tratto dal libro “Verso quale approdo?” Di Giuseppe Piroddi

Il trasferimento delle popolazioni dalle campagne alla città: il megalopolitismo



Sta avvenendo un fatto anomalo per noi che abitiamo nei Paesi industrializzati, giacché è stato vissuto dai nostri antenati a partire dall’XI° secolo fino al XIV°, quando, durante lo svolgimento della civiltà comunale, la prosperità della vita dei cittadini subordinò a sè quella della campagna. Nei Paesi sottosviluppati, ad onor del vero, si vive sia in città che in campagna una vita stentata, a causa della grande povertà. Tuttavia i disagi che la gente deve sopportare in campagna sono di gran lunga superiori a quelli della città. Da questo dato nasce negli abitanti delle campagne il desiderio di trasferirsi nelle città, dal momento che questa è vista come il rimedio a tutte le angustie che offre la campagna. Purtroppo non si è rimediato a nulla col trasferimento in massa della popolazione dalla campagna in città.

Diremo anzi che si è andati incontro ad una situazione peggiore rispetto a quella che s’intendeva rimediare, in quanto si è venuti ad incorrere negli aspetti più deteriori del megalopolitismo. In tempi recenti nei Paesi sottosviluppati si è verificato un fenomeno che, ad una considerazione superficiale, potrebbe sembrare assurdo, ma che assurdo non è. Infatti, se si considera che il megalopolitismo (cioè l’ingrandimento gigantesco e disordinato delle città del Terzo mondo) nasce dalla necessità che le popolazioni delle campagne hanno avvertito nel trasferirsi in città alla ricerca di una sopravvivenza che la campagna non poteva ormai più offrire, si constata che è la realtà delle situazioni che lo genera.

L’assurdo, semmai, scaturisce dall’illusorietà deleteria che produce. Molte città del Terzo mondo oggi sono invivibili, sono infatti fonte di rischi imponderabili per le comunità che le abitano. Ciò è dovuto al gran numero di persone che vi risiedono senza che esse possano garantire loro le adeguate strutture di accoglienza. Queste città, che nella prima metà del ‘900 erano strutturate per l’accoglienza di un certo numero di abitanti (poniamo cinque o seicentomila) ora se li sono visti moltiplicati da cifre assolutamente imprevedibili. Città come Calcutta, Bombay, Caraci, Il Cairo, Città del Messico, Lima, Buenos Aires, Rio De Janeiro, ecc., sono diventate dei veri cumoli di rifiuti, fogne a cielo aperto perché non sussistono i servizi igienici più elementari per i loro abitanti.

Brano tratto dal libro “Verso quale approdo?” Di Giuseppe Piroddi

mercoledì 29 maggio 2019

Le conseguenze del colonialismo nei paesi sottosviluppati



Non si può dire però che non abbiano lasciato una profonda traccia del loro passaggio. Una gran parte dei mali che oggi affliggono i Paesi sottosviluppati sono da attribuirsi alla situazione che hanno lasciato le potenze coloniali, che non vollero mai intendere, pur avendone (alcune di esse) ricevuto espresso mandato dalla Società delle Nazioni, di adoperarsi a preparare quei Paesi loro assegnati, affinché acquisissero una capacità di governo in vista di una futura indipendenza.

Questo era stato il compito che la Società delle Nazioni aveva loro conferito ma che regolarmente elusero, badando a derubare il più possibile quei Paesi e non ad importarvi la loro civiltà, trapiantandovi le strutture scientifiche, economiche e sociali adatte. Le conseguenze dei regimi coloniali sono oggi più che mai riscontrabili nella maggioranza dei Paesi sottosviluppati. Esse sono molte e di difficile cancellazione.

Quei giovani, che intanto avevano studiato nelle università europee e che si erano posti alla testa dei loro popoli guidandone le rivolte anticoloniali e portandoli all’indipendenza, non sempre riuscirono ad instaurare nei propri Paesi regimi democratici. Ciò era dovuto in parte a condizioni oggettive, nel senso che il popolo era privo di cultura (faceva eccezione solamente, come ho rimarcato pocanzi, una ristrettissima élite), per cui non era in grado di recepire, mediante una coscienza propria.

La maggioranza di questi stessi giovani, avendo assimilato della cultura politica occidentale oltre agli aspetti positivi anche quelli negativi, inclinava con una certa reticenza verso la democrazia. Alcuni erano addirittura propensi ad ascoltare i suggerimenti delle potenze coloniali, facendosi, loro malgrado, paladini degli interessi di quelle potenze.

In tal modo quasi tutte le ex colonie dei Paesi europei, ottenuta l’indipendenza politica, andarono incontro a sanguinose guerre civili, dietro le quali per parecchio tempo si nascondeva l’abile regia delle potenze occidentali. La scomparsa dell’Unione Sovietica e dei regimi comunisti suoi satelliti, agirono come parti contrapposte, conquistando specifiche zone d’influenza ed esercitando forme di neocolonialismo, con la scusa di soccorrerle e di difenderle dagli avversari militari e politici.

Brano tratto dal libro “Verso quale approdo?” Di Giuseppe Piroddi

I fenomeni migratori



Questo problema è nato con l’umanità. Il nomadismo fu una necessità di vita per i popoli primitivi. Essi erano costretti a spostarsi per procurarsi il minimo indispensabile di cui sostentarsi. Solo con la diffusione dell’agricoltura i popoli cominciarono a restare sui territori.

Dando uno sguardo panoramico alla storia della civiltà occidentale, possiamo notare che il fenomeno migratorio è presente in tutti i suoi momenti di maggior rilievo. Esso varia nella portata, nell’intensità, nel tono e nelle caratteristiche, a seconda del differenziarsi delle circostanze, ma ciò non toglie che anche gli uomini lo abbiano sempre sentito come connaturato alla loro natura. In questo scritto, ci interessa esaminare il fenomeno dell’emigrazione per come si presenta nel momento attuale, per l’incidenza che assume nella società mondiale del nostro tempo.

Il fenomeno migratorio, è bene ricordarlo, non appartiene soltanto alla specie umana, bensì anche ad altre specie animali. Emigrano varie specie di uccelli, di pesci, ecc. Tuttavia, possiamo individuare una profonda differenza tra l’emigrazione dell’uomo e quella degli animali. La prima, guidata dalla ragione, si realizza nell’ambito di un’ampia libertà. La seconda è regolamentata dalle leggi naturali, soggetta quindi alle ferree leggi della necessità.

È difficile sapere con certezza assoluta perché il fenomeno migratorio si verifichi nel mondo animale (intendiamo dire l’individuazione del suo fine intrinseco). Gli studiosi di zoologia rispondono al quesito, inquadrando il fenomeno nelle leggi naturali che lo determinano, e fornendone un’esatta descrizione. Questo è il lavoro dello scienziato che, per quanto sia più che esauriente dal punto di vista della diligenza, non può soddisfare il filosofo, che tende a scoprire il fine del fenomeno stesso.

A tal proposito non basta dire, per esempio, che certe specie di uccelli migratori emigrano da una parte all’altra della Terra per ragioni climatiche, giacché ciò amplia la descrizione del fenomeno, ma non ne precisa il vero fine. Nell’uomo, attuandosi liberamente al di fuori delle necessità delle leggi di natura, i fini sono svariati, legati a motivi differenti. Volendo chiarire meglio il concetto, possiamo dire che è l’uomo stesso a stabilire, volta per volta, il fine del suo emigrare. Quanto invece al raggiungimento di tale fine, il discorso è diverso.

Brano tratto dal libro “Verso quale approdo?” Di Giuseppe Piroddi


martedì 28 maggio 2019

Paesi comunisti e regimi democratici accomunati dalla ragion di Stato


Intanto nei Paesi industrializzati dell’Occidente si gioiva per la caduta dei regimi comunisti e si evidenziava la superiorità del capitalismo come sistema di governo rispetto al comunismo. Si tendeva, dunque, ad attribuire a quest’ultimo esclusivamente funzioni negative nello sviluppo della storia.

Una posizione con cui non si può essere tuttavia d’accordo, meditando con equilibrio sui fatti che la storia ci ha offerto dalla Rivoluzione russa del 1917, anno in cui si affermava il regime sovietico in quel grande Paese, fino alla sua scomparsa nel 1991, si può sbagliare nel non riconoscere la positività che il regime sovietico aveva esercitato negli eventi storici accaduti nell’arco della sua vita.

A parte lo scopo che lo animava, quello di ritagliarsi anch’esso una zona d’influenza nel mondo, è innegabile che i popoli colonizzati dall’Occidente videro in esso un potente punto di riferimento su cui far leva per le proprie rivendicazioni emancipatrici dal colonialismo che li opprimeva.

Non c’è dubbio che questo abbia aderito alle loro richieste ogni volta che gliele fecero, fornendo mezzi e suggerimenti. D’altro canto, onestà intellettuale vuole che si ammetta che l’atteggiamento della Russia Sovietica non differiva dal comportamento dei regimi democratici occidentali nei confronti dei Paesi di area debole ma che, proprio per questo, essi non dovevano rimproverare nulla alla Russia stessa. Ovvero: se avevano qualcosa da rimproverarle era quello di praticare spietatamente la ragion di stato come del resto facevano anche loro.

Brano tratto dal libro “Verso quale approdo?” Di Giuseppe Piroddi

Quarta di copertina dell'opera "Verso quale Approdo", del professor Giuseppe Piroddi

Con le presenti considerazioni storico - filosofiche s’intende indicare il modo di andare oltre le turbative disordinate attualmente vige...